Già a Ludi Sportivi appena iniziati, i nostri strateghi della commissione sportiva constatarono amaramente che alcuni di noi rischiavano di non migliorare i tempi o le misure fatte nelle ultime verifiche d’allenamento, e che altri non avrebbero ottenuto neppure le prestazioni minime mettendoci, per quell’anno, fuori gioco. Per fortuna, disponevamo anche di soggetti capaci di prestazioni molto elevate, ma erano troppo pochi per farci sovvertire i pronostici.
Ne discutemmo animatamente in aula di studio, decidendo che per non perdere la faccia avremmo adottato ogni iniziativa, compresa quella di far seguire i colleghi più carenti da alcuni dei nostri più forti nelle singole discipline sportive, nella speranza di prepararli al meglio anche sacrificando tutti i ritagli di tempo libero o le ricreazioni. Dopo di che, non sarebbe rimasto che confidare nel buon esito delle gare a squadra e, comunque fosse andata a finire, avremmo potuto sempre dire d’avercela messa tutta, com’era nella nostra indole.Ma è inutile nascondere che ciò che ci ossessionava era non tanto che gli anziani vincessero la coppa, evento nell’ordine delle cose, quanto che essi ne potessero poi fare una chiassosa occasione di rivalsa e di dileggio nei nostri confronti, occasione che fino a quel momento non avevamo mai dato loro di cogliere.
In vista delle varie prove, ci fu tra noi chi rinunciò anche alla libera uscita per allenarsi, o per aiutare qualche compagno un po’ scarso ad apprendere le tecniche migliori per ottenere qualche centesimo di punto in più.
Anche i colleghi prescelti per la gara di canottaggio del "Quattro con" si diedero molto da fare, sapendo che la chiave di volta di questo sport, oltre che nella forza fisica dei vogatori, stava nella perfetta sincronia delle palate, e quella richiedeva molto tempo d’allenamento. Vedevamo spesso il nostro armo, con Zampino al timone e i quattro potenti rematori in piena azione, pendolare avanti e indietro nel tratto di mare tra Nisida e Coroglio in ogni momento libero da impegni, lasciando indietro un turbinio di remate energiche e ben bilanciate.
Dirò subito che, grazie al nostro spirito di solidarietà, più d’uno dei nostri colleghi meno dotati nelle gare andò al di là delle previsioni. Ciò nonostante, la Coppa dei Ludi sportivi non fu nostro appannaggio, e dovemmo attendere l’anno successivo. Ma tutti ci impegnammo con i muscoli e con un tifo organizzato a sostegno dei nostri atleti, facendoci ammirare dagli osservatori per averci provato fino all’ultimo.
Ma sentite come andò a finire.
L’ultima gara a squadre era proprio quella di canottaggio e, a quel punto, i tre corsi si trovavano divisi da pochi punti, con il Pegaso in lieve vantaggio, sufficiente tuttavia a far prevedere che la coppa dei Ludi sarebbe stata sua, a condizione che, nella gara in mare, si fosse piazzato almeno secondo, cosa estremamente probabile avendo rematori di tutto rispetto e comunque più esperti dei nostri, alle prime armi.
Per contro, la coppa finale l'avrebbe vinta l'Orione solo se il suo armo fosse arrivato primo, ma anche se la barca del Rostro avesse fatto il miracolo di lasciarsi alle spalle quella degli anziani.
Il giorno della verità era una domenica assolata, con l’Accademia stracolma di visitatori e di famigliari degli ufficiali e sottufficiali del quadro permanente, venutisi a godere la conclusione delle gare e la cerimonia ufficiale di chiusura delle ostilità.
All’augusta presenza dell’Intramontabile Wanda e tra le urla di incoraggiamento dei tre corsi, le aguzze barche si portarono al largo verso il punto di partenza, seguite dal motoscafo della giuria, un mezzo appena acquistato che, neanche a farlo apposta, ostentava sulla poppa in un elegante corsivo d’ottone il nome Rostro. La linea d’arrivo della gara, contrassegnata da due piccole boe munite di bandierina, era posta proprio davanti al piazzale sportivo, dove il Rostro al completo si era ammassato lanciando incitamenti che avrebbero potuto essere sentiti fino a Capo Miseno.
Finalmente fu dato il via e si videro gli armi scattare lontano, nella densa foschia, ma a quella distanza era impossibile distinguere i colori delle magliette dei vogatori e, quindi, avere idea di quale corso fosse in testa. Poi, all’improvviso, uno dei tre armi ebbe evidentemente qualche problema, perché fu visto compiere uno scarto laterale ed attardarsi di qualche metro rispetto agli altri due, prima di riuscire a riprendere il ritmo regolare di voga. Qualcuno dei suoi doveva aver sbagliato una palata in acqua provocando una spinta asimmetrica tale da far deviare decisamente la barca dalla linea retta.
Ai 500 metri dall’arrivo fummo certi che la disavventura non era toccata né all’Orione, né tantomeno al Rostro, che infatti procedevano di conserva verso il traguardo e, anzi, moltiplicavano gli sforzi pur di non dare al Pegaso il tempo di recuperare il gap accumulato; l’Orione perché in quella situazione avrebbe vinto i giochi, e noi perché mai avremmo rinunciato a fare uno sgarbo, questa volta legittimo e senza conseguenze disciplinari, agli anziani.
Il Pegaso, dunque, finì miseramente ed inaspettatamente ultimo, vedendosi sfilare la coppa da sotto il naso.
Non dimenticheremo mai la faccia incredula ed indispettita di Kociss, profeta della luce e delle tenebre, né la delusione degli anziani che, convinti d’avere ormai la vittoria in tasca, da giorni stavano pregustando il trionfo.
Molti di loro non ressero all’emozione e alla rabbia ed abbandonarono il piazzale con gli occhi lustri, sapendo di aver mancato l’unica occasione per iscrivere il nome del proprio corso sul trofeo. Avevano ragione, dato che il Pegaso neppure l’anno dopo riuscì nell’impresa, non per colpa sua ma solo per merito nostro.
L’inattesa défaillance in canottaggio, dove erano fortissimi, fu da loro attribuita alla “sfiga” solo perché la saggia legge di Murphy, completa dei suoi numerosi corollari, a quel tempo non era ancora stata enunciata. Ma noi, guardando le cose dal nostro punto di vista, ammettemmo che la Volpe, un po’ scherzando e un po’ no, ci aveva detto una verità, cioè che l’ora del bi….ro prima o poi arriva per tutti.
Diciamo piuttosto che la nave corvina della Sidarma quella volta aveva portato sfiga al Pegaso, anziché al Rostro.