Le polemiche scoppiate a valle della decisione di dare
al nostro corso non il nome Rex 2°, bensì
Rostro, decisione che aveva provocato anche commenti piuttosto critici da parte
di alcuni organi di stampa, ripresero vivaci nei giorni immediatamente
precedenti la cerimonia del nostro giuramento e battesimo, che aspettavamo con
emozione.
Per tradizione, come era sempre avvenuto per ciascuno
dei corsi che replicava il nome del rispettivo corso capostipite, anche noi
avremmo dovuto avere come padrini i superstiti del corso omonimo arruolato 19
anni prima di noi. L’unico inconveniente stava nel fatto che il corso
predecessore aveva un nome diverso dal nostro.
Il Rex si era letteralmente immolato durante le
vicende belliche del 2° conflitto mondiale, e i suoi superstiti ancora in
servizio attivo erano tutti destinati a raggiungere altissimi gradi nella Forza
Armata.
Essi, con in testa il loro Capo Corso e Medaglia d’Oro
al Valor Militare, l’allora Colonnello Giulio Cesare Graziani, all’atto della
loro convocazione per la cerimonia del nostro giuramento e battesimo, si
dichiararono comprensibilmente contrari ad assolvere per noi il ruolo di
padrini e ad avallare in tal modo una decisione spregevole per l’orgoglio del
Rex ed il sacrificio dei suoi gloriosi Caduti. Per loro, e qui assicuriamo il
lettore, anche per noi, il corso Rex esisteva e avrebbe dovuto continuare ad
esistere com’era nelle tradizioni aeronautiche. Nessuno poteva pretendere che
essi chinassero il capo per consentire ad altri di trincerarsi dietro il
“politically correct”, come si direbbe adesso.
Ci furono riunioni a tutti i livelli, inviti pressanti
nei loro confronti seguiti da rifiuti sdegnati, preoccupazioni sui modi per
superare l’impasse, paura di portare in piazza contrasti a livello
istituzionale, fino al panico più completo.
Glielo fossero andati a dire, i responsabili di una
decisione così infelice, a quelli del Rex, quando erano ai comandi di un S–79 a
pelo dell’acqua, con a bordo parte dell’equipaggio deceduto o ferito per le
cannonate nemiche, mentre stavano procedendo contro le navi inglesi determinati
a lanciare il loro siluro (e poi la Vergine Lauretana avrebbe fatto il resto),
glielo fossero andati a dire, dicevamo, che il nome del loro corso un giorno
sarebbe diventato imbarazzante al punto da volerlo obliterare sotto una coltre
di perbenismo istituzionale, e che loro sarebbero stati chiamati ancora una
volta al sacrificio!
Anche noi, naturalmente, non restammo insensibili a
questo problema. Eravamo da una parte orgogliosi di poterli avere come padrini,
ma dall’altra facevamo nostro il loro stesso imbarazzo.
In sostanza, avremmo dovuto recitare la parte dei
figli di N.N., battezzati alla riluttante presenza di padri putativi che
avevano tutte le ragioni di rifiutarci, stanti i precedenti che stavano in
sottofondo all’intera questione.
Alla fine subentrò un miracolo, ed il mattino del
nostro giuramento il Rex si schierò al nostro fianco.
In quei momenti, noi ignoravamo che agli ufficiali del
Rex, come si è sempre fatto con i militari, da opportuni livelli era pervenuto
lungo la catena gerarchica un “ordine” perentorio di presenziare alla
cerimonia, ed essi avevano obbedito come avevano fatto durante la guerra, nella
quale l’Aeronautica per l’Italia si era disintegrata, con i suoi Comandanti in
testa, lottando su tutti i fronti.
Il Colonnello Graziani, venendo a parlarci il pomeriggio
della vigilia della cerimonia, fu con noi estremamente corretto e non fece cenno
alle pressioni subite, trattenendosi responsabilmente dal
sciogliere le briglie al suo forte risentimento. Allo stesso tempo, consapevole
che anche noi, in fondo, eravamo vittime di una decisione che ci pareva
assurda, non ci lesinò incitamenti ed auguri per la nostra vita futura.
Noi lo ascoltammo come se fosse stato l’arcangelo
Gabriele, ammirati da quanto lui e i suoi compagni avevano saputo fare, appena
usciti dall’Accademia, in una lotta impari e cruenta, eseguendo non solo gli
ordini, ma soprattutto i loro imperativi morali.
Fatto sta che il mattino successivo eravamo schierati a
corsi completi sul lungomare di via Caracciolo, immobili sul presentat–arm ed
impettiti nelle nostre uniformi da parata, di fronte alla tribuna delle
autorità, ai nostri parenti venuti a festeggiarci e ad un’enorme folla di
napoletani assiepati nelle aree transennate all’uopo predisposte.
Davanti a noi, su una pedana tappezzata d’azzurro, la
Bandiera dell’Accademia Aeronautica sventolava alla brezza di mare, con la sua
scorta armata presa, come noi, dall’importanza del momento.
Il Comandante dell’Accademia scese dalla tribuna e si
pose a fianco del Tricolore, e scandì le parole solenni della formula del
giuramento. Per qualche secondo, che sembrò un secolo,
indugiò con lo sguardo su ognuno di noi quasi a
cercare sui nostri volti la conferma della nostra consapevolezza. Quindi, con voce fiera, ci pose la domanda
rituale:
“Allievi del corso Rostro, lo giurate voi?”
Nel silenzio
turbato solo dai richiami dei gabbiani, un possente “Lo giuro!” proruppe
all’unisono da bocche e cuori, altrettanto possente del crepitio delle raffiche
a salve sparate in quell’istante da alcune armi a ripetizione poste sul retro
delle tribune.
Poi Mameli portò, con le sue note, il nostro grido
lontano nel vento. Lo immaginammo sorvolare la penisola, scavalcare le
montagne, arrivare su tutti i sacrari dei nostri Caduti, a suggello dell’impegno da noi assunto.
Ora davvero eravamo diventati uomini dell’Aeronautica
Militare a tutti gli effetti!
La gente applaudiva, sventolava piccoli tricolori e
qualche mamma non tratteneva la commozione.
Nessuno di noi avrebbe mai scordato quel momento.
Seguì la benedizione del labaro da parte del Cappellano
militare, labaro che il capo corso del Rex affidò al nostro alfiere, che
marzialmente lo portò nei ranghi.
Infine, mentre la banda dell’Aeronautica suonava in
sordina la Canzone del Piave ed uno di noi leggeva la preghiera dell’Aviatore,
l’orifiamma del corso Rostro si innalzò nel cielo di Napoli attaccata ad un
pallone bianco usato per i sondaggi meteo dell’atmosfera.
Se qualcuno, chissà dove e quando, l’avesse ritrovata
dopo la ricaduta al suolo e riconsegnata all’Accademia, l’avremmo conservata
come segno beneaugurante per le fortune del Rostro.
Anche la sfilata in parata che chiuse la cerimonia, la
prima in pubblico per il Rostro, fu applauditissima da parte di tutti,
specialmente dalle molte ragazze napoletane venute a guardarci.
Più tardi, al pranzo di corpo nella sala mensa
allievi, le tensioni della vigilia si attenuarono e conoscemmo da vicino i nostri
padrini, che si erano mescolati con noi nei vari tavoli. Chiedemmo così notizie
dei nostri centenari, quelli cioè aventi le ultime due cifre di matricola
dell’Accademia uguali alle nostre, ma una parte di noi apprese che il proprio
centenario era purtroppo tra i Caduti del Rex.
Anche dai compagni del Col. Graziani non uscì alcuna
parola di critica, e così fu per gli anni successivi, ma i rapporti del Rex con
noi, condizionati da una partenza un po’ anomala, furono correttissimi, ma
tiepidi. Fu così fino a quando toccò a noi, 19 anni dopo, tornare in Accademia
per fare da padrini al Rostro 2°, alla presenza dei pochi del Rex ancora vivi.
Questi ultimi da quel momento in poi, avendo
constatato come il Rostro si sentisse legato al Rex ed avesse insegnato a fare
altrettanto al Rostro 2°, le lontane polemiche che abbiamo narrato furono accantonate definitivamente.
A quel punto, anche il Rostro aveva da ricordare compagni Caduti i cui nomi
erano scolpiti, insieme a quelli del Rex, sulle stesse pareti di marmo della
chiesa dell’Accademia e del Palazzo Aeronautica.
Le tradizioni di valore del Rex erano stato degnamente
onorate.
E i corsi con la R divennero finalmente una cosa sola.