SOGNARE IL CIELO AD “OCCHI CHIUSI”
Era una bella giornata di sole, una giornata ideale per stare all’aperto a contemplare i filari di viti della campagna a ridosso della rete aeroportuale, accesi dai primi rossastri colori autunnali.
Poco oltre questo scenario bucolico, si profilava, solenne, la collina del Sacrario di Custoza e più in là, nella perenne foschia, il pretenzioso Monte Baldo che, per dirla alla Torelli, si credeva Monte Bianco con l’accento gardesano.
Di lì a poche settimane, nelle giornate di nebbia al suolo, a chi di noi fosse stato in volo, il suo profilo - emerso dalla grigiastra coltre nebbiosa - sarebbe sembrato un’isola in mezzo al nulla, tuttavia rassicurante orientamento per la via di casa.
ll mio compagno di Corso d’Accademia ed io eravamo gli ultimi arrivati al Gruppo delle Streghe, sfornati alla fine di giugno dalle scuole di volo pugliesi a giusta cottura, dopo ben 4 anni di lenta lievitazione.
Da quasi quattro mesi, eravamo impegnatissimi nelle attività di addestramento per il conseguimento della nostra prontezza operativa sul velivolo da combattimento, lo RF84F che, a quel tempo, equipaggiava felicemente quasi tutte le Aeronautiche dei Paesi della NATO.
Tuttavia, come voleva la prassi, da nuove Streghe non ancora smaliziate sull’uso professionale della loro scopa volante, eravamo i candidati predestinati ad assolvere anche gli incarichi a terra più disparati e sovente noiosi, ovviamente nel tempo libero dalle missioni di volo e dallo studio dei manuali tecnici e delle procedure di impiego del nostro velivolo di dotazione.
E va anche detto che questa nostra disponibilità sarebbe durata per ulteriori sei mesi, prima di onorare degnamente il nostro ruolo di piloti militari “combat ready” con l’aquila turrita sul petto della uniforme.
Fu così che, un po’ per l’aria tiepida degli inizi di un nuovo anno scolastico, e un po’ per la consapevolezza di dover accettare di buon grado ogni incarico extra con rinnovato spirito di servizio, non ci sentimmo per niente contrariati quando il Comandante di Gruppo assegnò a noi due, da poco recapitati lì “…col camion della spesa del Direttore di mensa” (sic!), l’incarico di accogliere e assistere una scolaresca che, accompagnata dagli insegnanti, avrebbe fatto una visita conoscitiva alla nostra sede.
Devo ammettere, per sincerità, che - con un filo di malizia - considerammo perfino gradevole la prospettiva di stare al sole incontrando qualche ragazza in buona salute, allevata dalla mamma a zabaglioni mattutini di uova fresche, esemplare di solito presente nelle ultime classi delle nostre scuole medie superiori.
Ci stavamo mentalmente preparando a sfoderare la nostra galanteria di cavalieri del cielo, quando – preceduto da una campagnola del Corpo di guardia - vedemmo presentarsi sul piazzale del Gruppo non già un pullman superturistico, coi candidi poggiatesta di lino, prescelto dal consiglio d’istituto di un liceo di gran nome, bensì un più modesto autobus di color carta da zucchero sbiadito, con una trentina di posti a sedere, generosamente concesso dal comune di provenienza ad un istituto di ragazzini d’ambo i sessi e alle loro maestre, i quali avrebbero potuto fare quasi tutto in quella gioiosa mattinata di gita scolastica al 28°Gruppo di Volo, dicevo tutto, tranne che vederli, finalmente, quei nostri aviogetti che sentivano rombare in aria senza poterli ammirare.
Perché i nostri ospiti erano tutti ragazzini ipovedenti, se non completamente privi della vista, ospiti di un istituto sito in un remoto paese del circondario.
Si sa che gli istituti caritatevoli difficilmente hanno sede a Taormina, a Sirmione o a Abano Terme, men che meno a Capri o a Portofino, località queste ultime forse già totalmente precettate ad ospitare congressi medici che si occupano di ciechi, sordomuti o comunque portatori di effettive disabilità, più che di alternative abilità, come pomposamente vengono definiti i loro assistiti.
E a questa mistificazione di una realtà drammatica fanno ancora oggi, da eloquente testimonianza, le irrisorie pensioni concesse dal nostro “altrimenti munifico” paese a chi è nato più sfortunato di noi.
Vedendoli scendere guardinghi dagli scomodi gradini del loro mezzo, aiutati dalle accompagnatrici che li allineavano, mano nella mano, obbedienti, in fila per due, avrei voluto che il cemento del piazzale si fosse aperto sotto i miei piedi e una voragine mi avesse ingoiato.
Mi sentii innanzi tutto inadeguato a parlare del volo a dei bambini privi di quelle piccole esemplarità, costruite nella loro memoria giorno dopo giorno, con le quali i cosiddetti normodotati semplificano i fenomeni naturali complessi e ne comprendono quanto meno la funzionalità, come nel caso del moto nel fluido, avendo visto le rondini volteggiare in aria, ovvero i pesci rossi nuotare nell’acquario, o anche solo i colori di una margherita arredare con un piccolo emozionante prodigio l’orlo di un fosso di campagna.
Ma questi ometti con meno di dieci anni avevano nella memoria solo sacrifici e rinunce.
E ancora, da orgoglioso, quale ero stato fino a quel momento, di aver raggiunto numerosi traguardi e saltato diversi ostacoli davanti a me, mi sorpresi d’un tratto vergognoso di me stesso e delle mie stesse abilità, per quanto ancora in fieri, a fronte del loro disarmato isolamento interiore, forse anche privo di stimoli luminosi di una qualche valenza.
Insomma, mi sentii in colpa e mi prese un senso di scoraggiamento, che nascosi prontamente sotto un sorriso radioso, ma invero avevo la morte nel cuore, a cui si aggiungeva un forte biasimo per la leggerezza organizzativa con cui tale visita era stata programmata.
Nel frattempo, aiutati dai nostri fidati specialisti, bimbi e accompagnatori erano stati suddivisi in gruppi e, col mio, mi accinsi a fare da Cicerone vicino ad un aeroplano piazzato in zona sicura fuori dalle vie di rullaggio..
La maestra che avevo con me deve aver capito il mio imbarazzo, perché si affrettò ad informarmi a voce alta che ciascuno di loro aveva buoni occhi nelle mani con cui “vedevano” le cose, ed io colsi prontamente l’occasione per farmi sfiorare il viso da loro, tanto le loro mani, per quanto abili, il mio disagio non lo avrebbero certo rilevato. Ero però anche determinato a dar loro qualcosa, visto che avevano scelto di venire da noi, e allora, radunai il mio gruppo e girammo attorno all’aereo in mostra, guidando le loro mani lungo i bordi delle ali, del muso aerodinamico affilato, dei grossi serbatoi sub - alari, mentre io raccontavo a cosa servivano gli alettoni mobili e il cono di scarico della turbina ancora tiepido, le gambe del carrello e tutte le altre cose che essi in sequenza andavano prontamente a tastare.
Poi, ebbi l’idea che a loro avrei dovuto parlare piuttosto di cielo e del perché io e i miei compagni ci andavamo, e mi venne da dire che quel cielo era lo stesso nel quale volavano anche gli Angeli veri, con le loro ali piumate e silenziose, mentre le nostre ali erano molto rumorose.
Che gli Angeli veri aiutavano tutti, specialmente i bambini, a evitare i pericoli. Che quando ci andavamo noi con l’aereo, dovevamo rispettare le altezze dal terreno che ci venivano date, per non invadere i loro spazi, perché anche loro erano indaffarati a volare di qua e di là per proteggere le persone che venivano loro affidate
Che noi aviatori le altezze le misuravamo in Angeli, e non in metri o in piedi, e che le nuvole di pioggia o i temporali potevano arrivare molto in alto, fino a 40 Angeli. Che, a differenza degli Angeli che erano tutti buoni, sulla terra c’erano purtroppo anche persone malvage che avrebbero potuto portare pericoli nelle nostre case, e che noi eravamo lì a fare la guardia per impedire a costoro di farlo.
E infine, che anche noi, al calduccio dentro l’aereo, tante volte avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse a ritrovare la strada del ritorno, come avrebbero fatto le loro maestre riaccompagnandoli a casa, al termine della gita scolastica.
Gli scolari mi ascoltavano silenziosi, con i loro occhi sterili semichiusi. Sembravano riflettere e figurarsi le mie descrizioni, e tuttavia la mia immaginazione forse non corrispondeva alla loro, sicché la mia pena aumentava e non sapevo che cos’altro dire ancora. Mi interrompevo per far loro ascoltare il rombo del motore di qualche missione in decollo, precisando che noi però quel fracasso lo sentivamo attutito nel nostro posto di pilotaggio, era come se ce lo fossimo lasciato dietro di noi, e che eravamo contenti di stare lassù da soli, e ogni volta che ci andavamo, eravamo felici.
Li assicurai che, se mai avessi incontrato un Angelo nelle affollate vie del cielo, gli avrei raccontato del mio incontro con loro e lo avrei pregato di correre a salutarli in sogno e di dire che li avrei aspettati, se avessero voluto ritornare a trovarmi ancora.
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Io questi ragazzini, subentrati al posto delle avvenenti liceali, non li ho mai più dimenticati e davvero non so cosa darei oggi, da nonno, per sapere come è continuata la loro vita, dopo quella giornata di sole autunnale, tiepido e gradevole, proprio dell’inizio di un nuovo anno scolastico.
Con loro sorridevo, ma avrei voluto piangere, ripudiare l’arroganza per i miei successi e, invece, riconoscere i loro, che accettavano senza disperazione la loro crudele “diversa abilità”. La loro umanità deprivata della luce degli occhi era notevolmente superiore in tutti i sensi a quella dei normodotati e perfino dei superdotati come eravamo noi, che ci arrabbiavamo per ogni banale contrarietà.
Guardai attorno a me lo scenario dei colori delle foglie delle viti viranti all’ocra, la collina di Custoza e tutto il resto che essi non avrebbero mai contemplato, e mi sembrò desolante ed immeritato.
Mi augurai solo che la storia degli Angeli in volo sopra le nubi restasse nei loro ricordi, insieme alla fisionomia della mia faccia, che mai aveva incontrato tante mani indagatrici. Ancora oggi li ho nel cuore e forse dovrei convincermi che gli Angeli d’alta quota li ho davvero incontrati anch’io, quando sono venuti a trovarmi non in volo con le loro bianche ali piumate, bensì con un vecchio bus sgangherato, color carta da zucchero sbiadito, che a loro è forse apparso come una lussuosa e luccicante berlina.
(di T. Basile – Dicembre 2020)