Intercettori - Rostro 1956

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Intercettori

I Reparti
   L’arrivo dell’F.104 G ha segnato nell’Aeronautica Militare un salto di qualità tra l’epoca post-bellica, gli anni cinquanta, e i giorni nostri. Distacco che le linee della “classe 80” avevano certamente preparato, ma non completato. E’ l’aereo che ci ha insegnato a lavorare “bene”, che ci ha costretto a rinunciare al classico “fai-da-te”imparando quanto c’era da imparare presso le Scuole e le Agenzie internazionali, cosa che ha avuto poi naturale sviluppo con Tornado, Eurofighter e, oggi, Joint Strike Fighter. Ma, soprattutto, ci ha insegnato a volare in modo moderno, secondo standard continuamente verificati dai teams di valutazione alleati e nei frequenti scambi con l’estero, trasformando dei ragazzi in “piloti pronti al combattimento” della Nato, tutti uguali, sicuri e motivati. L’F.104 G ha svolto diversi ruoli, ben adattandosi a ogni mestiere. Ma la sua vera vocazione era fare l’intercettore puro, quello “mordi e fuggi”. Era stato progettato per questo, e si vedeva. Noi, piloti intercettori formati sul caccia ogni-tempo F. 86 K, ce ne accorgevamo subito. E con soddisfazione, perché con il nuovo aereo si realizzava un sogno. Con il K, vedere una scia alta e lontana significava frustrazione e rabbia. Sapevamo che dopo improbabili geometrie l’avremmo persa, o dopo lunghi inseguimenti – spesso vani – ci saremmo trovati “scannati” all’alternato. Con il G eri d’allarme in testata pista pronto in 2’, con il dito sullo starter. A volte vedevi già, lontana, la scia del target e….sirena, starter, piattaforma, spine, tettuccio, full A/B e dopo un minuto e mezzo ti trovavi sparato a 37 mila piedi, già supersonico e con il bersaglio a portata di mano. Bastava prenderlo.
         Ma l’F. 86 K era stato pur sempre il più sofisticato velivolo della sua generazione e questo lo aveva reso passaggio obbligato per tutti i piloti intercettori che dovevano convertirsi sull’F. 104 G.  A parte le novità, quali il post-bruciatore, le ciglia con controllo elettrico e manuale, il controllo elettronico del motore, i missili AIM 9B Sidewinder e il Tacan, la grande scoperta era l’uso del radar di intercettazione e tiro. Tutto ciò si ritrovava, più o meno e con alcune differenze – non sempre in meglio –  sull’F.104 G. Se prima di volare sul G era necessario fare sei voli sull’ F.104 F presso le Scuole della Luftwaffe (a Norwenich, e in seguito a Jever), anche per volare sul K era necessaria attività supplementare ognitempo, con un allenamento specifico di un centinaio di ore sui T/RT. 33 A della Squadriglia Bersagli, più una cinquantina di ore di Strumentale Operativo – rigorosamente in tendina – presso l’ex Scuola Caccia Ognitempo di Amendola.
Anche la tipologia delle missioni radar di mantenimento della combat-readiness, a parte le prestazioni cinematiche dei due velivoli, non differivano gran ché. I bersagli, normalmente un T/RT 33 A munito di “bomba” (un oggetto radarabile a forma di bomba fissato sotto la fusoliera) per i K o un altro “spillone” con i serbatoi supplementari per il G, simulavano le classiche minacce subsoniche e supersoniche “anni sessanta” del Patto di Varsavia. Nelle missioni basiche di intercettazione diurne o notturne per entrambi i tipi di velivolo l’unità di base era la coppia, dove il leader rispondeva ai comandi del guida caccia e il gregario seguiva in agganciamento radar (che avveniva già durante la salita) alla distanza di un paio di miglia, separandosi solo per reiterare in proprio l’attacco del leader, dopo che questo aveva dato il “break away”. Seguiva il riaggancio in formazione radar, per condurre con le stesse modalità gli attacchi successivi. La penetrazione normalmente avveniva in coppia o in sequenza, se il tempo, specie di notte, era davvero cattivo. Ma si volava sempre, purchè ci fosse un alternato. Da Istrana, con il K, c’era Aviano a portata di mano, normalmente buono. Ma da Cameri, con il G, dove spesso sotto il maltempo c’era la nebbia, l’alternato (Rimini, Grosseto, Aviano) era a 180 miglia, per cui, con Bingo 3.000 (carburante residuo obbligatorio), era consigliabile rimanere in quota finché non si era sicuri di atterrare. Le diversioni sull’alternato erano all’ordine del giorno, e anche questa era una bella scuola. Ai fini della tecnica di intercettazione ognitempo, a mio avviso il radar MG – 4 dell’F. 86 K, sebbene antiquato e tutto a valvole, era molto più flessibile del radar F. 15 A dell’F. 104 G, che aveva meno possibilità di aggiustamenti manuali.  Anche la portata in modalità aria-aria non differiva gran ché. Con entrambi la possibilità di effettuare stabili agganciamenti  normalmente non eccedeva la scala delle 10 miglia, con media di 5 - 8 miglia. Solo che con il K si volava al massimo a  Mach .9, mentre con il G, in certe esercitazioni, la velocità di attacco tendeva a Mach 2! L’F. 86 K che trovai al 51° era “ognitempo” perché aveva il radar e perché veniva usato come se lo fosse davvero. Ma per navigare disponeva solo di un ADF, una girobussola, un orizzonte artificiale e un’unica radio. Aveva però un buon trasponder, e gli operatori GCI/GCA erano dei veri professionisti. L’F.104 G, con Tacan, piattaforma, due radio, due orizzonti e la possibilità di una buona resa del radar in modalità aria-superficie era già più attrezzato, anche se la piattaforma, per le modalità di allineamento rapido utilizzate nelle partenze su allarme, non era affidabile e serviva, più che altro, a tenere “eretti” il radar e l’orizzonte primario. Nei temporali, però, il G fungeva da parafulmine, e, specie di notte, la sensazione non era affatto piacevole, con i  “fuochi fatui” verdi danzanti davanti al blindovetro. A volte, in queste condizioni, si accendeva la luce “instruments on emergency power”, che, con scarso apprezzamento da parte del pilota, significava perdita del radar, della piattaforma e, di conseguenza, dell’orizzonte artificiale primario e, non sempre, anche dell’autopilota. Riprendendo l’argomento “radar” e differenze tra i due velivoli, quello dell’F. 86 K era comandabile sia in automatico che a mano. Ma era in manuale che, diversamente dall’F. 104 G, dava il meglio di sé. Impugnando una piccola cloche, posizionata dietro il selettore di spinta (che in attacco si teneva sempre al massimo), si aveva l’impressione di prendere in mano l’antenna del radar e dirigerla a piacimento per illuminare al meglio il bersaglio come fosse una torcia elettrica, sia in elevazione che in azimuth. Questa possibilità era apprezzatissima quando, in seguito all’installazione dei due Sidewinder, non era più necessario condurre l’attacco a distanza ravvicinata e alla stessa quota del bersaglio come con i quattro cannoni da 20 mm, ma si usava la tecnica degli attacchi “zoom”, con quote differenziate anche di 5-7 mila piedi. In modalità “gun”, dopo l’agganciamento le informazioni fornite in distanza, prua e velocità relativa rispetto al bersaglio erano così accurate che, in co-altitude, dentro le nubi o di notte, era possibile avvicinarsi al bersaglio a distanza visiva, fino al riconoscimento. Il radar dell’F. 104 G questo non lo permetteva, tanto che, per motivi di sicurezza, anche gli attacchi in addestramento basico, i più semplici, si effettuavano sempre con una differenza di quota minima di 2.000 piedi.
   
      Le tattiche di impiego, con entrambi i velivoli, erano oggetto di aggiornamento continuo, a terra e in volo. Tempi di post-combustione, consumi, accelerazioni, tropopausa, temperature esterne e caratteristiche dei bersagli, raggi di virata, geometrie di attacco e emergenze erano la materia dei briefing quotidiani. Ricordo di aver passato ore a comparare l’inviluppo di volo del K a quello del Mig 17, e, successivamente, quello del G con il Mig 21. Bastava disegnarli con la stessa scala, sovrapporli, osservarli contro un vetro luminoso e risultava subito chiaro il “qui vinco….qui perdo”. Andava molto di moda allora, il manuale di tattiche del capitano John Boyd, che, reduce dalla Corea e dal Vietnam, aveva compilato il suo “Aerial Attak Study” e diffuso la teoria della “conservazione dell’energia”, ripresa dal “SURE Project”  di Steve Reeves e Piero Trevisan, ben noto a tutti i centoquattristi di prima generazione. Ma la laurea di “combat ready” su F.104 G si conseguiva con le  MIP, le missioni profilo, nella loro espressione più complessa: le “Arco”. Un velivolo con serbatoi alari decollava da Cameri, saliva a 47 mila piedi e, volando a Mach 1.7, atterrava a Grazzanise dopo una ventina di minuti, o meno. Sulla rotta, veniva intercettato da coppie supersoniche di F. 104 G, con due missili al posto dei serbatoi alari, provenienti da Grosseto e dalla stessa Grazzanise. Sul percorso inverso (condizioni meteo di Cameri permettendo) da coppie di Grosseto e di Cameri. Mi sono divertito a sfogliare i miei vecchi libretti di volo, e confesso che a ogni volo corrisponde ancora un ricordo…. Volare sull’F.104 G, specie all’inizio dell’epopea, ci dava davvero la sensazione di compiere qualcosa di grande, di valido. Qualcosa di unico.

....ma a qualcuno capitò
di
rientrare con mezzi propri....
(...  santo Martin Baker....)


...dall'F  104


...dal Phantom
 
 
 
Base aerea di Jever, Ostfriesland, 27 luglio 1964: volo di transizione su F-104F. Il programma prevede una salita a 37 mila piedi con postbruciatore e un tratto di accelerazione orizzontale a Mach 1.4, poi uno zoom fino a rientrare in subsonico e quindi una nutrita serie di manovre con circuito finale GCA. Il tempo è piuttosto brutto, 8/8 di nubi a 600 piedi e piove a dirotto, ma è normale qui a Jever, sul Mare del Nord, davanti alle Isole Frisone. Ed è normale anche per me, che vengo dall’F-86K, caccia “ognitempo”.
Siamo a Jever da un mese per uno dei primi corsi di transizione sull’F-104 dopo quelli già effettuati a Norwenich, assieme a colleghi di altri reparti. In questa “Waffenschule 10” della Luftwaffe volano istruttori belgi, tedeschi, italiani e olandesi. C’è un po’ tutta la Nato. Si fa un gran parlare di questo Starfighter, è un aereo nuovo dall’aspetto inconsueto che di inconsueto ha anche le prestazioni, tanto che, dicono, sembra di volare su un X-15. Prendiamo il decollo, al  primo volo l’istruttore avverte che nessun allievo riesce a retrarre il carrello prima di superare la velocità di rientro dei flaps. Io invece c’ero riuscito, ma concentrandomi solo su quella manovra, non avevo seguito bene né il controllo dell’incredibile accelerazione, né il raggiungimento della VR (velocità di rotazione,ndr), nè il distacco…
Ora sono al secondo volo e decollo da Jever con l’F-104F, leggerissima versione da addestramento: niente radar, piattaforma inerziale e autopilota, c’è solo il VOR/TACAN. Lascio l’A/B (Aftrburner, postbruciatore, ndr) inserito per la salita ed in un tempo incredibile, poco più di un minuto, arrivo alla quota di livellamento, a 37 mila piedi, spengo l’A/B, ma questo aereo sale come un razzo e così mi mangio altri 6-7 mila piedi: mi tocca rovesciarlo per fermare l’altimetro. Finalmente livello e comincio l’accelerazione, di nuovo A/B e subito il machmetro arriva a 1.4, via l’A/B, barra indietro per lo zoom: 45 mila piedi e via in discesa. Ora dobbiamo provare una serie di virate, estraggo i T/O flaps, che sono i flaps di manovra. Subito l’aereo comincia a ruotare a destra come impazzito. E’ incontrollabile. “Su i flaps!”, grida in cuffia l’istruttore, ma l’ipersostentatore destro è sbarrato, sembra essere uscito asimmetrico, forse si è sganciato  e non rientra: il velivolo si avvita puntando il muso verso il tetto di nubi, che è a 20 mila piedi. “Parafreno!”, eseguo, sento lo strappo, il rollio sembra rallentare un attimo, poi riprende più veloce di prima.
“Bail out!”, è l’ultimo comando che mi da l’istruttore prima di eiettarsi, e deve farlo prima lui perché sull’F questa è la sequenza. La carica del C.2 posteriore esplode, penso di seguirlo subito dopo, ma il contraccolpo ha mandato l’F-104 in “g negativi” e così mi trovo sballottato contro l’abitacolo, mentre il velivolo gira attorno all’asse di rollio e si mette anche a rotolare. Durante l’abbassamento del muso vedo il “radome”  piegarsi davanti al blindovetro e staccarsi con una fuga velocissima, poi un violento scossone ed un rumore di ferraglia mi fanno capire che il motore si è disassato; poco prima (me lo diranno nell’inchiesta) si era sradicato quel flap maledetto, portandosi via la parte destra dello stabilizzatore e un buon pezzo di deriva. Del velivolo non rimane che questo troncone in cui mi trovo prigioniero, incapace di lanciarmi. Gli strumenti sono inservibili, non so né la quota né la velocità, ma ormai devo essere transonico.
Con l’indice sinistro sfioro disperatamente la maniglia del C.2 (il primo tipo di seggiolino dell’F-104 aveva il comando di sparo tra le gambe del pilota, ndr), ma è troppo lontana e non riesco ad afferrarla, sono inchiodato alla parte sinistra dell’abitacolo dal violento “thumbling” del velivolo, sospeso per i “g negativi” e con le gambe sollevate in galleggiamento. Davanti a me vedo l’inutile leva di sgancio del tettuccio, mentre cado a più di 300 metri al secondo verso terra, sono ormai nelle nubi, ancora pochi secondi….
Due pensieri mi attraversano la mente in una danza frenetica, sono attimi eppure mi sembra di vedere tutto al rallentatore: “adesso mi schianto per terra, chissà cosa si sente… maledetta maniglia, non ci arrivo e invece questa qui è a portata di mano, inutile…”. Più i pensieri si rincorrono e più mi arrabbio per la  situazione, poi, finalmente, riesco a infilare il braccio destro tra il collo e il tettuccio e puntando la mano contro il montante riesco a infilare il dito anulare sinistro alla maniglia, che è coperta dalla cloche, rimasta tutta indietro dopo il distacco della coda. Tiro il comando di sparo con quel solo dito, fratturandolo: ha funzionato!
Il buco nero della cabina si allontana rapidamente con il cruscotto, ho abbandonato l’abitacolo troppo scomposto, con le gambe alte e il collo storto, devo essere ferito, ma non sento niente, vedo solo buio e luce alternarsi velocemente; lo strappo della cinghia di collegamento mi allontana dal seggiolino, tra le gambe appare un tetto rosso che si ingrandisce veloce, troppo veloce, tiro con forza la maniglia. Il paracadute si apre facendomi oscillare paurosamente, devo essere basso, molto basso… il tetto rosso si ferma, ho la vista confusa, ma scorgo un canale sotto di me, tiro il salvagente e contemporaneamente mi scontro quasi di piatto con il duro asfalto. Il canale è invece un’autostrada e ci sono finito in mezzo: una macchina si ferma vicino con uno stridore di freni, a breve distanza scorgo il fumo dell’aeroplano che si è schiantato. Ho il piede destro disarticolato dalla caviglia, il casco mi ha escoriato la fronte, l’undicesima vertebra dorsale è spezzata (lo saprò poi), ma non sento alcun dolore, guardo solo la nera colonna che si eleva dal punto di impatto dell’F-104, felice di non essere là. I passeggeri dell’auto mi guardano con paura, e non capisco il perché, poi dalla casa arriva una ragazza con dell’acqua e uno specchio. Finalmente me ne rendo conto: la maschera si è spostata e il viso è rimasto esposto alla violenza della corrente, sono tutto nero con gli occhi rossi, è come se mi avessero dato un pugno con una mano gigantesca.
Mentre mi portano all’ospedale di Leer ho meno di un paio d’ore sull’F-104 e mi dispiace abbandonarlo così presto… ma ci rivedremo! Così è stato. La mia carriera di pilota intercettore si è conclusa solo nel 1970, con oltre 700 ore sul “cacciatore di stelle”.
(intervista da JP4 “Dossier F-104”, maggio 1978)
 


Nel lontano 1971 mi trovavo in forza al 20° Gruppo, ,nell’aeroporto di Grosseto, in qualità di istruttore di F104. Il 10 Maggio di quell’anno, insieme ad Aureliano fummo inviati, con due velivoli F104, a Gioia del Colle, dove era rischiarato uno squadrone di Phantom americani di stanza a Bitburg.Il nostro compito era quello di volare con decollo in coppia (F104 e Phantom) il giorno 11 maggio,Aureliano con pilota americano sul Phantom ed io col Magg Rowley sull’F104, mentre il giorno dopo si doveva effettuare lo stesso volo ma ad equipaggi invertiti. Lo scopo era quello di confrontare le capacità di salita dei due aerei ,dato che sembra  vi fosse un certo interesse per far acquistare il Phantom all’Aeronautica Italiana perché più consono al  nostro teatro operativo. Il primo confronto aveva palesato una leggera superiorità dell’F104 nel raggiungimento della quota di 35000ft.
 
Il 12 Maggio, prendevo posto, come previsto, nell’abitacolo posteriore del Phantom ed in coppia con l’F104 iniziavamo la corsa di decollo verso nord. Guardando nello specchietto retrovisore notavo che dai bordi alari fuorusciva un getto di carburante di cui informavo il pilota Magg Rowley il quale mi rispondeva “non ti preoccupare”( never mind ), dal che  compresi che stava alleggerendo l’aereo per migliorarne le prestazioni in salita. Raggiunta la quota di 35000ft ad una velocità di circa 220kts l’americano mi dice;” ora ti faccio vedere come il Phantom manovra bene"  ed inizia una virata a sinistra verso l’F104 con a bordo Aureliano che era più basso di circa 2000ft. Di colpo l’aereo stalla verso destra ed inizia ad avvitarsi. All’inizio  pensai ad uno scherzo ma quando i giri di vite si  susseguirono con accelerazioni negative e positive, testate sul tettuccio ( meno male che c’era il casco ), mi  resi conto che la situazione era molto più seria e quindi mi  preparai ad un eventuale lancio afferrando la maniglia di eiezione.Tuttavia ,considerando la notevole quota, speravo ci fosse il tempo per uscire da quella situazione. L’estrazione del parafreno con stabilizzazione in picchiata dell’aereo mi sembrò la manovra risolutiva, senonche’ lo sgancio (forse un po’precipitoso) fece tornare il velivolo nella situazione di vite. Sotto vi era uno strato compatto di nuvole, per cui non avendo la possibilità di valutare la distanza da terra decisi di lanciarmi prima di entrarvi. Lo stesso pensiero credo l’abbia avuto il Magg Rowley perche mi  informò di tenermi pronto per l’eiezione (stand by to bail out ). Il lancio fu traumatico, con un dolore lancinante alla schiena ed una breve perdita di conoscenza mentre si svolgevano gli automatismi di apertura del paracadute pilota di stabilizzazione e separazione dal seggiolino e quindi il paracadute di caduta. Inizialmente ero un corpo morto, non riuscendo a muovere neppure un dito, per cui, ritenendo di essere sul mare, pensavo che non me la sarei cavata pur essendo un buon nuotatore. Poi con il freddo intenso ed il ghiaccio che mi punzecchiava la faccia (ero entrato nello strato di nuvole, ritengo tra  i 20000 e i 15000 ft ), piano piano ripresi il movimento delle mani e dopo un certo tempo anche quello delle braccia. Dopo essere uscito dalle nuvole, con le gambe che non mi reggevano,  piombai in un prato ricevendo un’insaccata micidiale. Avevo bisogno di aiuto per rimettermi in piedi ma per quanto chiamassi non c’era nessuno. Dopo qualche tempo mi  tornarono le forze e mi avviai lungo un sentiero che conduceva verso un casolare disabitato. Rggiuntolo  venivo assalito dal cane di guardia e dovetti  ritornare sui miei passi. Nel frattempo gli abitanti del paese, nei pressi del quale era atterrato il pilota americano, e dal quale erano stati avvertiti che vi era un altro pilota, iniziarono uma ricerca nella zona circostante sino a che mi  trovarono. In seguito giunse un elicottero da Gioia del Colle che insieme al Magg Rowley ci  riportò alla base di Gioia. Dopo le visite mediche il Magg Rowley restò immobilizzato su una sedia a rotelle (forse si era lanciato in G negativi) mentre io avevo perso 2 cm di altezza. Il Phantom era caduto nell’alveo di un ruscello senza creare danni, mentre il tettuccio aveva colpito una conigliera mandando al creatore qualche bestiola.
Ovviamente la vicenda ebbe degli strascichi specialmente per le varie congetture sulle cause di ciò che era successo (si pensava a finti combattimenti aerei con manovre azzardate ),,ma probabilmente la causa principale era dipesa da un problema che aveva il phantom a bassa velocità .
 
Dopo qualche giorno  intervemme una commissione d’inchiesta composta da personale americano e di cui faceva parte anche il Magg. Leoni del corso Pegaso. Mi  raccontò l’incontro tra le autorità comunali e la commissione americana. Il sindaco aveva scelto come interprete una ragazza del posto che parlava un po’ l’inglese, ma con molta difficoltà con i termini aeronautici. Ad un certo punto l’ufficiale americano  chiese di visionare il pezzo di tettuccio del phantom  ( piece of canopy) custodito dai carabinieri; ora il termine “canopy”, sconosciuto alla ragazza interprete,  accoppiato a “piece”(piss),  la portò a pensare che l’ufficiale avesse una necessità fisiologica e che  volesse usufruire dei locali dei carabinieri.  Il sindaco , leggermente risentito, faceva notare che anche il Comune aveva locali idonei a (piss). Alle insistenze dell’americano per andare dai carabinieri si contrapponevano le resistenze del sindaco perché venissero usate le strutture del comune, tanto che per evitare guai diplomatici intervenne  Leoni per risolvere l’incomprensione.
 


LO  ‘SPILLONE’  DI  AMOS
 
 
 
         Nella mia vita professionale ho volato più di 30 aerei diversi, ma il vero e unico al quale devo grande passione e nostalgia è lui: lo ‘SPILLONE’. Il primo volo fu nel 1963 a Norwenich (Germania). Il primo impatto fu traumatico ed entusiasmante insieme, poi l’amicizia divenne solida e la fiducia illimitata. La macchina era me stesso, volare era la gioia completa, la libertà totale. Pochi i casi di difficoltà e per la gran parte se lui non mi capiva era perché il non mi ero tenuto a quella prudenza che il suo ’carattere’ imponeva.
 
          Due episodi interessanti: un trasferimento da Grosseto a Bodo (Norvegia) durante il quale mi sono trovato in totale avaria della piattaforma LN£ (tutto bloccato senza bandierine). Avaria subdola e senza soluzione, avrei potuto atterrare in un alternato con bel tempo e tutto sarebbe finito senza traumi. Io invece sono arrivato a destinazione (pioggia e nubi bassissime) con procedura VDF (QDM-QDR), bussola magnetica e orologio (roba da T-6 a cruscotto ridotto).
 
          L’altro episodio è stato durante un’esibizione: qui la macchina non aveva colpe, qualche nodo in meno e ‘zac’ si tocca la coda sulla pista. Tutto bene grazie alla prontezza ed alla estrema manovrabilità del ‘Grande f-104’. L’esibizione di cui ero stato incaricato voleva evidenziare le caratteristiche di un aereo assolutamente particolare per i tempi (anno 1965) e io avevo studiato un programma di 8 minuti che comprendeva: passaggio lento a 140 nodi a 500 piedi, passaggio veloce a Mach 0.98 a 200 piedi, una virata “John Derry” e un ‘TOUCH and ROLL’ che concludeva lo spettacolo. Quest’ultimo consisteva in un atterraggio con T/O flaps a 195 nodi sull’inizio pista, full A/B e distacco immediato con angolo di 20° e contemporanea rotazione (tonneau) avendo appena raggiunto i 220 nodi. La manovra era molto spettacolare, ma assolutamente sicura anche se avveniva a pochi metri dalla pista. Durante la rotazione la velocità aumentava a 260 nodi. Se veniva fatta bene c’era lo spazio per un’altra toccata in pista (questo però era rischioso).
 
         Da ultimo, voglio confessare di aver trovato grande difficoltà nel fare il leader di formazione acrobatica di quattro: gli amici che hanno volato con me erano piloti eccezionali, ma solo per loro merito siamo riusciti a cavarcela senza brutte figure.  Ma, come conclusione, mi sento di dire che l’F-104 volava molto meglio da solo.
 
 
Amos Ghisoni, pilota del 4° Stormo e istruttore al 20° gruppo.
 
 
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